Fascismo tropicale Intervista a Claudiléia Lemes Dias
Scritto da Segreteria il 23 Dicembre 2020
L’intervista a Claudiléia Lemes Dias, scrittrice, blogger (L’arte di salvarsi) e autrice del Concorso Lingua Madre in occasione dell’uscita del suo nuovo libro Fascismo tropicale: il Brasile tra estrema destra e Covid-19 (Dissensi Editore).
Il Concorso Lingua Madre ha recentemente presentato il volume in questo articolo.
“Fascismo tropicale: il Brasile tra estrema destra e Covid-19” è il suo primo saggio. Com’è avvenuto il passaggio dalla narrativa alla saggistica?
Debbo dire che è stato molto sofferto. Ho dovuto abdicare totalmente alla fantasia perché la realtà brasiliana superava di gran lunga qualsiasi tentativo di romanzarla. Mi sono ritrovata a dover raccontare un Paese spaccato, lacerato dalla politica e per gran parte cultore della violenza, del razzismo, della misoginia e dell’anti ambientalismo che la figura de Jair Bolsonaro incarnava.
Il risultato delle elezioni del 2018 ha sorpreso molti, ma non chi ha vissuto sulla propria pelle tutte le contraddizioni di un paese abituato a votare l’uomo politico che più si avvicina alla figura del grande padre, dell’uomo forte. La complessità della politica brasiliana è tale che si può perfettamente passare dalla sinistra all’estrema destra quando il grande padre di turno tradisce i suoi figli. L’odio dell’elettorato, a quel punto, è totale. Bolsonaro è stato eletto alla Presidenza della Repubblica con 57,7 milioni di voti, il che significava lo sdoganamento del lato peggiore del brasiliano medio, molto ben rappresentato dalla sua figura anche nel modo di parlare e di comportarsi.
Sapevamo tutti che l’orrore quotidiano di tante donne, neri, poveri, indios e bambini di strada, sterminati da sempre e a centinaia dai gruppi paramilitari difesi da Bolsonaro, sarebbe stato elevato a politica di Stato.
Era spaventoso sapere che così voleva il popolo e che democraticamente il terrore aveva vinto. L’analisi approfondita della scelta dell’elettorato brasiliano è destabilizzante per chiunque abbia una coscienza.
Ho raccolto le testimonianze di molte donne che avevano votato Bolsonaro, anche nella mia famiglia, perché era uno degli aspetti che più mi scioccava. La conclusione alla quale sono arrivata non era bella: l’avevano scelto perché rappresentava il padre, il marito, il fratello, l’amico machista e/o violento che ben conoscevano. C’era qualcosa di intimamente noto per queste donne. Chi conosce bene la cultura latinoamericana è ben consapevole della tipicità e della potenza persuasiva di figure politiche come Bolsonaro. C’è sempre “il papà dei poveri”, “l’avvocato del popolo” e il militare perfetto, l’unico capace di portare l’ordine nel caos.
Questa soggezione psicologica a figure autoritarie porta a scelte politiche catastrofiche. I programmi elettorali non vengono nemmeno letti, perché si vota conforme al livello di familiarità.
“È uno che parla alla pancia della gente” si dice qui in Italia. Ecco, quando si parla a pance vuote la possibilità di trovare le giuste parole per riempirle è più elevata se abbiamo di fronte un grande manipolatore.
Quale aspetto l’ha particolarmente colpita del panorama politico brasiliano?
Sicuramente l’intreccio tra politica e religione, qualcosa finora inedito per noi. Bolsonaro viene difeso a spada tratta da buona parte della popolazione nonostante la sua politica genocida nei confronti dei più deboli. È triste costatare che la pandemia di Covid-19 lo stia aiutando a sterminare gli indigeni e i neri poveri, per questo è passato a dichiararsi contrario alle misure anti-Covid o al vaccino. Parliamo di un uomo politico che si è eletto facendosi simbolicamente battezzare sulle acque del fiume Giordano sotto lo sguardo attento delle telecamere delle principali emittenti televisive. Il suo secondo nome è Messias, cosa che sa sfruttare molto bene per convincere l’elettorato evangelico, quello che interpreta la Bibbia in senso letterale, di essere un inviato da Dio. Nei suoi discorsi, Bolsonaro usa spesso i versi della Bibbia per giustificare ogni cosa, persino i crimini perpetrati dalla Polícia Militar contro la popolazione. Il tono del Presidente, in questi discorsi, è incisivo e profetico, come ogni bravo manipolatore delle masse. Per molte persone la sua parola è legge. Ciò che vedono non corrisponde al vero, se così decide lui. Ad esempio, un elettore di Bolsonaro può aver preso il Covid-19 o aver visto morire un suo caro, ma siccome viene tartassato da discorsi che affermano che si tratta soltanto di una normale influenza e che la morte avviene sempre per volontà di Dio – perché è il destino di tutti! – finisce per dare ragione al Presidente e non a coloro che stabiliscono delle regole di prevenzione da seguire che potrebbero implicare molte rinunce. Si tratta di un elemento che rende Bolsonaro un leader particolarmente pericoloso per il suo stesso popolo. Ai suoi seguaci, Bolsonaro chiede costantemente prove di coraggio e di fedeltà. Ad esempio, vengono incitati ad uscire senza mascherina per dimostrare di essere “uomini veri” e non delle “checche”. Può sembrare incredibile, ma in un Paese fortemente maschilista come il Brasile, questo tipo di discorso omofobo e demenziale ha un peso e in questo particolare momento produce effetti devastanti per la sanità pubblica, con più assembramenti e aumento dei contagi da Covid.
Quali sono le caratteristiche del Fascismo Tropicale?
Nel caso brasiliano c’è l’appropriazione dei simboli nazionali per parte dell’estrema destra. La bandiera brasiliana, con quel verde e oro riconosciuto in tutto il mondo, è stata trasformata in una bandiera di partito. Il pandeiro, il principale strumento utilizzato nella musica popolare brasiliana di matrice africana, è diventato onnipresente nelle manifestazioni organizzate dall’estrema destra per rimarcare che la cultura può provenire unicamente dai bianchi, più patriottici degli altri e quindi più propensi a tramandare ogni cosa. C’è un tentativo violento e spietato di cancellare l’intera opera culturale e il contributo economico che i neri e gli indigeni sono riusciti a donare al Paese, nonostante secoli di oppressione e schiavitù. Attraverso una propaganda costante che loda esclusivamente l’operato dei grandi proprietari terrieri, tutti di origini europea, le ambasciate hanno abolito l’intera programmazione culturale. È innegabilmente un vergognoso tentativo di rasare al suolo l’anima di un Paese intero per renderlo immagine e somiglianza del capo dello Stato. Nel fascismo tropicale il nemico è il popolo stesso, che andrebbe radicalmente sostituito da un altro, più “evoluto” e più incline al “progresso” secondo la visione di chi comanda. Per Jair Bolsonaro i giapponesi, ad esempio, sarebbero migliori dei brasiliani, perché “non si vede un giapponese che chiede l’elemosina per strada”. Anche il popolo americano e israeliano sarebbe migliore del popolo che governa, ecco perché durante la campagna elettorale e anche dopo le sue elezioni, alla bandiera brasiliana Bolsonaro affianca l’israeliana e l’americana come esempi da seguire. Uno dei motivi per il quale il Ministero della Cultura è stato abolito nel suo governo è perché la cultura brasiliana mondialmente conosciuta è quella di matrice africana. Direi che si tratta di un gran problema da gestire per un presidente razzista. Se pensiamo alla musica, alla danza, al carnevale di Rio, alla capoeira e al Portoghese brasiliano, capiamo che le impronte degli africani e degli indigeni non potranno mai essere cancellate dalla nostra cultura, come pretende l’estrema destra, il che rende questo tentativo di annientamento culturale un’opera folle che va portata alla conoscenza del mondo intero per ciò che è: un regime che balla il samba sulla tomba della democrazia convinto che nessuno se ne accorga e si ricopra il viso, inorridito.