Norouz Quante storie!
Scritto da Segreteria il 09 Ottobre 2020
Dai racconti delle autrici CLM più fiabeschi e fantastici, una serie di letture pensate per le/i giovani lettrici/lettori.
Sara Hessam Bakhtiari [Iran]
NOROUZ
“Sono in ritardo, come al solito”, pensava Marjane scendendo gli scalini levigati da milioni di scarpe della scuola. Fuori dall’edificio, un vento fresco e rinnovatore la sorprese; un vento singolare, come se un’energia onnisciente e maestosa avesse deciso di baciare l’umanità. Era una giornata che spesso viene definita bella. Bella, nel senso che Eros quel giorno aveva deciso di lasciarsi catturare; bella, nel senso che il tram su cui Marjane trascorreva parte di ogni sua giornata era diventato un luogo magico, in cui il viso di ogni persona mostrava qualcosa di particolare, curioso, affascinante; bella, nel senso che persino il solito cielo su Torino aveva un aspetto maestoso, quasi a profetizzare un avvenimento solenne.
Stranamente Marjane non era agitata, anzi, l’idea di trascorre un pomeriggio all’ospizio, la rilassava decisamente. Quando scese dal tram si avviò verso un cancello che divideva la strada da un piccolo cortile, davanti al quale si trovava una vecchia struttura. Entrata nell’ospizio, la ragazza incontrò la responsabile della casa di riposo che, sbrigativamente, le spiegò il funzionamento delle sue ore di volontariato e, dopo averla accompagnata in una sala, la introdusse velocemente a coloro che vivevano là.
Nella sala erano disposti tre tavoli intorno ai quali sedevano soprattutto donne. Marjane, avida di tutte le emozioni e ricordi che quelle persone custodivano, le osservò attentamente, nei minimi dettagli. C’era chi aveva capelli bianchi, chi color argento, chi tinti; chi giocava da solo a carte; chi portava orecchini antichi e raffinati; chi litigava rumorosamente. Qualcuno sorrideva a Marjane con occhi gonfi di speranza e curiosità; qualcuno invece la fissava con uno sguardo torvo, quasi arrabbiato.
Marjane cercò di avviare una conversazione con un gruppo di signore attorno ad un tavolo, ma fu molto più dura di quanto pensasse. Non riusciva a trovare le cose giuste da dire, o da chiedere. Mentre questo fiacco dialogo cercava di non morire, Marjane notò una figura che la ipnotizzò. Piccola e magrissima, i suoi capelli erano finissimi, bianchi e, per quanto non ebbe la possibilità di toccarli, immaginava che fossero molto morbidi. Gli occhi erano grandi e la pelle grinzosa; indossava un maglioncino lilla e un paio di orecchini d’oro, che avevano al centro due piccoli rubini. Aveva l’aria di riflettere molto, e di non curarsi di ciò che stava accadendo intorno.
Quando ormai si rese conto che la conversazione non aveva la forza di andare avanti, Marjane si alzò lentamente dalla sedia e si avvicinò cauta alla signora dai capelli bianchi e morbidi. La salutò, temendo in una sua cattiva reazione. Ma la signora al contrario alzò lo sguardo, che, alla vista della giovane, si illuminò. «Oh, salve!» rispose. Marjane, stupita, chiese se si poteva sedere accanto a lei. La signor acconsentì. «Allora è venuta qui a farci compagnia?» domandò sorridendo. «Sì, infatti…» confermò Marjane.
Lo stupore di Marjane crebbe, quando la signora cominciò a raccontarle di come si sentiva, di come viveva. «Cosa vuole che faccia io qui? Aspetto che il tempo passi. E non ricevo neanche mai visite. Mio figlio vive negli Stati Uniti con sua moglie e mio nipote… Io fino a un po’ di anni fa riuscivo ad andare a trovarli con l’aereo… Ma adesso! Sono anni che ormai non li vedo…», confessò con voce rotta. Marjane se ne accorse: dagli occhi opachi della signora stava per affiorare una lacrima. Così la giovane si sentì molto vicina a lei, perché provava sofferenze simili, quindi decise di prendere lei la parola e di raccontarsi. Sperava che la condivisione fosse un balsamo per il dolore. «Negli Stati Uniti? Anche tutti i miei parenti materni, compresa mia nonna, vivono negli Stati Uniti. Riesco a vederli un anno sì e uno no…», disse Marjane. «Si sono trasferiti tutti là per… Lavoro?», domandò con uno sguardo stupito la signora. «No, i miei genitori sono iraniani. Ma a causa dell’oppressivo regime politico dello Scià, decisero di lasciare il Paese. E così, successivamente, anche gli altri parenti materni hanno optato per la fuga. I parenti paterni invece sono ancora in Iran.». La signora annuì, con l’aria di una che la sapeva lunga.
Quel giorno Marjane tornò a casa beata, appagata. Sentiva di aver vissuto qualcosa di molto forte quel pomeriggio: un ferreo legame con una signora dai capelli bianchi e morbidi.
Altre settimane passarono, e Marjane e la signora, mano nella mano, percorrevano insieme un singolare percorso di reciproca conoscenza. Ogni settimana, imparavano qualcosa di più sulla loro vita, sul loro carattere; ogni settimana, tessevano la trama del disegno delle loro esistenze, delle loro radici.
Il giorno prima che iniziassero le vacanze di Natale le chiese: «Cosa farai a Capodanno?». «Non lo so ancora… Penso che festeggerò con i miei amici» rispose. «Non stai con la famiglia?». «No… non lo festeggiamo insieme. Non è una tradizione così importante per noi. Beh, secondo la tradizione persiana il Capodanno si celebra il ventuno marzo, si chiama Norouz». «E mangiate tutti insieme?», domandò. «Sì, però è molto diverso…». Venne interrotta dalle urla di altre due ospiti della struttura che litigavano animosamente. «E lei invece, cosa farà?», continuò. «Io… Beh, festeggerò qui. Sa com’è… Non possono mica venire a trovarmi; devono… Lavorare». «Capisco», disse Marjane. «Però – continuò la signora – Ho sempre cucinato il cotechino con le lenticchie. Sempre. Tutti gli anni, ho mantenuto lo stesso piatto per il cenone di Capodanno. E anche la tovaglia! È sempre rimasta la stessa! Tutti gli anni, fino a quando non son venuta qua…». Marjane cercò di sorridere abbassando lo sguardo. Sentiva un certo imbarazzo perché aveva colto nelle sue ultime parole la sua tristezza definitiva della rassegnazione.
Tre mesi dopo, la sera prima del ventuno marzo, Marjane decise di far vivere alla signora parte della sua tradizione. La sera chiese a sua madre di aiutarla a preparare gli elementi che caratterizzano la tavola del Capodanno persiano. Il nome di ognuno di essi deve iniziare con la lettera “s”. Mise quindi in una scatola di plastica dell’insalata, che sta a rappresentare il verde (in farsi, sabzeh), riempì una bottiglietta di vetro con l’aceto (serkeh), prese una mela (sib), dell’aglio (sir) e un barattolino di somaq, una spezia iraniana. Dopodiché, mise tutto in una borsa di cotone.
Dopo scuola, si avviò col tram alla casa di riposo. La signora era seduta accanto a una sedia vuota, la stava aspettando. La salutò sorridendo e Marjane ricambiò, ma poi, senza dire niente, cominciò a tirar fuori ciò che aveva portato con sé. Stese una tovaglia azzurra sul tavolo e posò l’aceto, l’insalata, la mela, l’aglio, il somaq. Quando ebbe finito, disse alla signora: «Norouz mabarakh!». «Cosa significa?», chiese, cercando di nascondere lo stupore. «Buon Anno Nuovo! È Capodanno oggi, non si ricorda?». «Ah, sì!», disse la signora, con aria sollevata.
Marjane le spiegò il significato del rito. Dopo, la signora, che ormai era molto curiosa di sapere tutto ciò che poteva, chiese: «E poi? Che altro?». Marjane fu presa alla sprovvista: non si immaginava tutta questa curiosità. Rispose: «Beh, inoltre la tradizione dice che i piccoli devono andare a visitare i grandi, come segno di rispetto. E i più piccoli invece ricevono doni dai grandi». «E allora le devo regalare qualcosa!» disse lei prontamente. «Ma no…», iniziò Marjane, ma ormai la signora aveva affondato le mani nella sua borsetta. Dopo un po’ di ricerca, con la mano tirò fuori un piccolo taccuino di pelle marrone dai bordi consumati. Senza esitare, lo mise nelle mani di Marjane, che intanto stava ancora cercando di dissuaderla. Il taccuino era morbido, stranamente caldo e, per quanto fosse distante dal suo naso, Marjane riusciva a percepirne l’odore che le vecchie pagine emanavano. «Lo tengo sempre con me», disse la signora. «Non vorrei mai perderlo. Sono i miei pensieri di quando avevo la tua età. Non ho nessuno a cui darlo, e poi, chi lo sa, potrei andarmene da un momento all’altro». Marjane fece per interromperla, ma la signora continuò. «Se non volessi dartelo non te lo darei, credimi. Voglio che lo tenga tu».
Poco dopo si salutarono, e la ragazza uscì nel cortile. Camminando con ancora il taccuino in mano, cominciò a piangere; un pianto calmo, pacato, controllato. Un pianto di ringraziamento, perché nel mondo, per quanto sia così caleidoscopico, siamo tutti così incredibilmente e meravigliosamente prossimi.
Marjane si ricompose e alzò la testa. Non si era accorta del vento; Eros era ancora lì, accanto a lei! Il vento freddo le mosse i lunghi capelli. Marjane sorrise, consapevole di ciò che stava vivendo, e si avviò verso casa.
L’illustrazione che accompagna il racconto è contenuta nel volume “Due infanzie per Nambena e altri racconti” realizzato a seguito del laboratorio artistico MIRAcconto illustrando condotto dalle illustratrici Annalisa Sanmartino e Giulia Torelli dell’Associazione BUM Ill&Art e promosso in collaborazione con le Biblioteche Civiche Torinesi ed il contributo della Youth Bank Mirafiori.