Coronavirus: e le donne?

Giaguare Il commento di Silvia Favaretto

Scritto da Segreteria il 11 Giugno 2020

Coronavirus: e le donne?
Continuano le risposte all’invito a riflettere sul tema lanciato nei giorni scorsi dal CLM. Ecco il commento  dell’autrice CLM Silvia Favaretto.

Giaguare

Nei primi giorni di Lockdown la chat delle mamme della scuola brulicava di foto di bimbi sorridenti con cartelloni colorati che dicevano “andrà tutto bene”. La rappresentante di classe avrebbe inviato questi messaggi di positività alle maestre. Ho chiesto a mio figlio se desiderava fare un disegno su questo tema per inoltrarlo alle sue insegnanti, come stavano facendo i suoi compagni, ma lui con la schiettezza e la lucidità dei suoi 7 anni mi ha risposto “No, mamma, non voglio mentire alle maestre. Io non penso che andrà tutto bene. Cioè, probabilmente alla fine ne usciremo, ma sarà dura e non bisogna far finta di niente”. Ho rispettato, naturalmente il suo volere e come sempre la sua attitudine mi ha portato a riflettere.

Nella sintalità della comunità abbiamo bisogno di annullare la paura con la sua negazione attraverso messaggi positivi. Non che la positività sia un problema in sé, i bimbi sorridenti coi cartelloni mi sembrano un tenero segnale di ottimismo, ma perché abbiamo dimenticato come si convive con la paura? Perché non ci concediamo di essere atterriti, abbattuti, inermi? La paura è salvifica, è il nostro istinto che ci parla per metterci in guardia, per farci acutizzare i sensi, per metterci in allerta e renderci più lucidi di fronte ai possibili pericoli. La nostra società tende a voler cancellare la paura, come tende a negare ogni espressione del nostro lato selvaggio, e allora ci prescrivono terapie con ansiolitici, app di faceyoga per svuotare la mente, mandala antistress da colorare coi pastelli. Ma la donna che sa affacciarsi al pozzo del sé per ritrovare la sua parte più autentica, più selvaggia, più legata alla terra, sa che se non riusciamo a dormire durante il lockdown, se sentiamo irrequietezza e inquietudine è perché, come mi insegna il mio maestro settenne “sarà dura e non bisogna far finta di niente”. In particolare le donne, sulle quali incombe solitamente il peso emotivo della famiglia, le donne che da secoli devono essere sorridenti e compiacenti, “angeli del focolare” pronte a sacrificarsi con un’espressione in volto di “va tutto bene, ce la faccio”, le bambine che fin da piccole imparano che devono risultare rassicuranti ed attraenti per trovare un “maschio alfa” che le protegga (perché, ci dicono, è impossibile proteggersi da sole o proteggerci tra sorelle). Alle donne viene chiesto di infondere ottimismo e benessere, soprattutto quando sono madri, o insegnati o figure pubbliche. Ebbene io voglio scrivere, in questo spazio che mi permette di farlo e di cui sono grata, che QUESTE donne sono perfettamente consapevoli che il problema non è un virus ma la società globalizzata e malata che lo ha covato, che a ucciderci non è un pipistrello, ma un sistema consumistico che sfrutta la terra all’inverosimile come in un suicidio premeditato, che l’“andrà tutto bene” è una bugia di quelle che in spagnolo si chiamano “mentira piadosa” cioè delle menzogne in qualche modo meno gravi perché vengono dette per evitare a qualcuno una delusione. Non abbiamo bisogno di proteggere gli altri dalla realtà, abbiamo bisogno di sbattergliela in faccia e di essere magari disperati, magari depressi, magari spaventati, se questo serve ad accorgersi che è ora di cambiare un sistema, di perseguire un fine comune, di riconoscere la nostra interdipendenza con la terra, di capire che è più saggio ascoltare un bambino di 7 anni che un politico. E allora no, io e il mio piccolo non abbiamo fatto foto con arcobaleni, ma da scrittrice ho prodotto un testo poetico (che è la mia piccolissima arma di difesa per affermare quello che penso e che desidero) dedicato alla scrittrice e mia editrice messicana Marisol Vera Guerra, per lei e per tutte quelle donne che possono raccogliere la loro ansia, riconoscerne il valore, cullarla e da lì intingere le parole per la loro libertà, come delle femmine di giaguaro (nel mio neologismo giaguare) che sanno che la sopravvivenza è fatica, paura, lucidità e amore.

Fotografia “It-Aliena” di Chiamaka Sandra Madu

 

Jaguaras

para Marisol Vera Guerra

 

La lengua de la madre
Lame al cachorro
Como jaguar en su guarida
Abraza a tu ansiedad
Ella es el latido que
Te mantiene despierta
Mientras tus pequeños duermen
Y su olor te llena la nariz
No puedes olvidarte
Que eres su guardián
Acuna tu inquietud
Levanta tus oídos
Al crujido del predador
Prepárate,
No puedes permitirte la serenidad,
No puedes
Ya que elijiste la libertad,
No puedes
Ya que rechazaste
Tener un dueño

 

Giaguare

A Marisol Vera Guerra

La lingua della madre
Lecca il cucciolo
Come giaguaro nella sua tana
Abbraccia la tua ansia
Lei è il battito
Che ti mantiene vigile
Mentre i tuoi piccoli dormono
E il loro odore ti riempie le narici
Non puoi dimenticarti
Di essere la loro custode
Culla la tua inquietudine
Rizza le orecchie
Allo scricchiolio del predatore
Preparati
Non puoi permetterti la serenità
Non puoi
Perchè hai scelto la libertà
Non puoi
Perchè hai rifiutato
Di avere un padrone

 

La fotografia “It-aliena” di Chiamaka Sandra Madu (Nigeria) fa parte delle fotografie selezionate dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per la XV Edizione del Concorso Lingua Madre.