Kira
Scritto da Segreteria il 06 Maggio 2010
Continuiamo a pubblicare i racconti delle ragazze e dei ragazzi del Liceo Gobetti che hanno partecipato insieme alle loro insegnanti Cristina Bracchi e Patrizia Moretti ai laboratori di narrazione e scrittura organizzati dal Concorso Lingua Madre.
Ecco il quarto racconto:
Kira
Di Giorgia Curtabbi
(Classe I E)
Kira, una ragazza della Repubblica Democratica del Congo, è immigrata in Italia all’età di quindici anni. Il motivo principale che l’ha costretta a partire è stata la presenza, nel suo paese, di ex-militari e di gruppi tribali che, frequentemente, compiono razzie e stragi di civili. Vittime di una di queste stragi sono stati i fratelli maggiori di Kira, i quali rappresentavano un solido sostegno economico per la famiglia. I genitori di Kira, non potendo sostenere la povertà che li aveva colpiti immediatamente, avevano deciso di trasferirsi in Italia, precisamente a Torino, dove da anni viveva Mohal, un caro amico del padre di Kira. Lei era giunta qui da sola, i genitori l’avrebbero raggiunta quando avrebbero potuto permettersi, entrambi, un visto e i soldi per partire; nel frattempo la ragazzina avrebbe vissuto con la famiglia di Mohal, il quale ha una moglie e una figlia più grande di un anno rispetto a Kira.
Per Kira, la morte dei fratelli era stato un duro colpo. Ma nel Congo le morti sono frequenti, sia per le guerre che per la malnutrizione e la mancanza di igiene, perciò, abbandonare il suo paese, era una condizione ancora più difficile da accettare. Lì stava bene: seppur con sacrifici non indifferenti della famiglia, andava a scuola, studiava e aveva alle spalle una famiglia solida e unita, tutti privilegi di cui molti ragazzi come lei non potevano godere. A Kira, l’improvvisa crisi economica che aveva colpito la famiglia, era sembrata un incubo ad occhi aperti di cui non era riuscita a capacitarsi. Un giorno, però, si era resa conto della realtà e si era ritrovata su un aereo che, da Kinshasa, l’avrebbe portata a Roma. Era stata la prima volta, dopo il funerale dei suoi fratelli, in cui aveva pianto; dopo quella, sarebbe successo tante altre volte. Dopo un altro volo, Kira era giunta a Torino e la famiglia di Mohal, che non vedeva da anni, l’aveva accolta molto bene. Si era sentita quasi da subito come a casa e aveva legato in fretta con la figlia di Mohal, Naomi. L’accoglienza al di fuori delle mura domestiche non era stata altrettanto calorosa: spesso, per strada, si era sentita addosso sguardi sprezzanti e ogni volta che, facendo la spesa da sola, non aveva saputo come chiedere alla commessa dove trovare un reparto, tutte le persone in coda alla cassa la guardavano male, pronunciando frasi a lei incomprensibili, ma dal tono ostile. A casa di Mohal, nonostante tutti sapessero parlare piuttosto bene l’italiano, le prime volte avevano parlato in francese, per non far pesare la situazione, già difficile, alla nuova arrivata. Kira si era data da fare e, durante il mese che la separava dall’inizio della scuola, aveva imparato un po’ la nuova lingua, trovandosi meno a disagio quando entrava nei negozi.
Insieme ai genitori di Naomi, Kira aveva deciso di frequentare un liceo linguistico, dove avrebbe potuto mantenere l’uso del francese. Il primo impatto con la scuola era stato molto duro: i nuovi compagni non l’avevano quasi considerata e avevano gli stessi sguardi della gente incontrata per strada; mentre i pochi che avevano provato a fare amicizia con lei l’avevano riempita di domande (metà della quali non aveva capito) e, dopo quel primo momento di curiosità, l’avevano abbandonata. Naturalmente c’erano compagni stranieri come lei, ma la maggior parte di essi conosceva bene l’italiano e Kira provava un forte imbarazzo a parlare con loro. Quelli che si erano trasferiti da non molto come lei, invece, se ne stavano per conto proprio e lei si vergognava troppo per presentarsi di propria iniziativa.
Questa situazione non era durata a lungo però: presto i compagni di Kira avevano ammirato il suo francese disinvolto e le si erano rivolti chiedendole aiuto nella materia, offrendosi, in cambio, di aiutarla con l’italiano. C’erano comunque i ragazzi delle altre classi che, appena notavano il colore della sua pelle, distoglievano lo sguardo da lei oppure la schernivano e, anche se dopo un po’ Kira aveva imparato le frasi con cui difendersi, non riusciva mai a farsi valere. Non riusciva a reagire nemmeno quando la raggiungevano occhiate maliziose; non sapeva ancora spiegarsi quella spudoratezza con cui i ragazzi si comportavano nei confronti delle ragazze, atteggiamento a lei del tutto sconosciuto.
Se alcuni suoi compagni la disprezzavano e altri la trattavano bene, allo stesso modo si comportavano i professori: in particolare, l’insegnate di matematica disapprovava la sua scarsa conoscenza dell’italiano, mentre la professoressa di lettere si dimostrava più ottimista nei confronti dell’apprendimento di Kira, che, nel giro di quattro mesi, aveva raggiunto un livello lessicale pari quasi a quello dei suoi compagni.
La scuola è stato un elemento fondamentale per l’integrazione di Kira in Italia, ma non di certo l’unico. Separavano la sua cultura da quella italiana non solo la lingua, ma anche le abitudini alimentari e le tradizioni. Per quanto riguarda la religione, Kira, nonostante fosse cattolica, aveva scelto di non seguire le lezioni di religione e sfruttava quelle ore esercitandosi nella lettura dei testi della biblioteca scolastica. Kira si era abituata fin da subito alle usanze alimentari italiane, fatta eccezione per la pasta, che lei non amava molto. Tutte le altre tradizioni congolesi si mantenevano in famiglia. C’era stato un impatto difficile con l’abbigliamento alla moda e la tecnologia, due cose quasi inesistenti in Congo. Le ragazze spesso si erano prese gioco di Kira, denigrandola per il suo modo di vestire (per i primi mesi aveva indossato solo i vestiti che si era portata da casa), ma lei non si era mai offesa.
Dopo essersi pian piano adattata a tutte le novità riscontrate in Italia, Kira si era fatta una buona compagnia di amici, i quali, a differenza di molti suoi compagni, non criticavano gli immigrati e l’immigrazione in generale e si mostravano rispettosi verso gli extra-comunitari.
Kira ha inoltre trovato nel nostro paese una situazione di gran lunga migliore di quella del Congo, soprattutto per ciò che riguarda l’integrità fisica delle donne. Nel suo paese, infatti, gli stupri sono all’ordine del giorno; lo stesso vale per i rapimenti dei bambini, trasformati in bambini-soldato da mandare a combattere. Kira da questo punto di vista è contenta di essere scappata dalla disastrosa situazione in cui viveva precedentemente.
Ad ogni modo, è riuscita, non senza fatica, ad integrarsi nella società italiana e a superare tutti gli ostacoli (come il razzismo) che, sin dal primo momento, gliel’avevano impedito.
Ora che la sua vita scorre con una serena normalità, il suo primo pensiero è quello di avere al suo fianco i genitori, il più presto possibile.
Giorgia Curtabbi
Classe I C
Liceo Scientifico Gobetti