Appuntamenti

"Ndayè e Daour" di Riccardo Novo I racconti del laboratorio al Liceo Gobetti

Scritto da Segreteria il 31 Maggio 2010

Continuiamo a pubblicare i racconti delle ragazze e dei ragazzi del Liceo Gobetti che hanno partecipato insieme alle loro insegnanti Cristina Bracchi e Patrizia Moretti ai laboratori di narrazione e scrittura organizzati dal Concorso Lingua Madre.

Ecco il quattordicesimo racconto:

Ndayè e Daour

Di Riccardo Novo
(Classe III C)

Ndayè è una ragazza senegalese: è arrivata in Italia otto anni fa, all’età di ventuno anni, assieme al suo compagno Daour. Appartiene ad una famiglia non molto ricca, e i suoi genitori hanno risparmiato il denaro per farla venire in Europa fin da quando era piccola: essi sono rimasti in Senegal, assieme agli altri figli, ma hanno voluto dare alla loro primogenita l’opportunità di una vita migliore della loro, con la speranza che potesse anche inviare dei soldi dall’estero, per aiutare il sostentamento di tutta la famiglia.
Partendo dal Senegal sarebbe stato più facile dirigersi in Spagna, ma dalle testimonianze di un vicino trasferitosi in Italia, il nostro Paese è stato visto come “Un paradiso terrestre”, e inoltre era l’unico di cui Ndayè e Daour conoscessero qualcosa (proprio grazie alle lettere inviate dal vecchio vicino).
I due ragazzi sono arrivati in Italia dopo un viaggio di ben nove settimane: hanno attraversato la Mauritania e l’Algeria per poi arrivare sulle coste mediterranee.
Nella prima parte del loro viaggio hanno utilizzato diversi bus e spesso hanno accettato passaggi su camion e automobili diretti ad Oran. Qui sono saliti su un treno merci, con due vagoni adibiti al trasporto di persone e, viaggiando in condizioni pietose, sono giunti dopo due giorni circa nella capitale tunisina: Tunisi. Il loro viaggio fino a Tunisi non è stato affatto facile: i vagoni erano sporchi e sprovvisti di sedili, c’era poca acqua disponibile e, prima di raggiungere la frontiera tra l’ Algeria e la Tunisia, tutti i passeggeri non algerini sono dovuti scendere e passare a un chilometro di distanza dal posto di blocco di polizia, perché privi dei visti necessari agli stranieri come loro per poter uscire legalmente dall’Algeria ed entrare in Tunisia. Nella città di Tunisi hanno trascorso  due notti, per poi salire su un’imbarcazione di quelle che noi occidentali chiamiamo “barconi di immigrati”. Quella di Ndayè e Daour è stata una traversata fortunata: tre giorni di mare tranquillo e poi, finalmente, l’Italia.
L’imbarcazione è approdata su una spiaggia siciliana, nei pressi di Porto Empedocle, a pochi chilometri dai templi di Agrigento.
Daour e Ndayè sono rimasti ad Agrigento per due mesi e con i pochi soldi in loro possesso si sono affittati un piccolo alloggio nella triste periferia di questa città; il ragazzo ha trovato lavoro al mercato, racimolando appena i soldi necessari per comprare da mangiare per sé e per Ndayè.
Trascorsi due mesi, i ragazzi hanno deciso di trasferirsi più a nord e, saliti su un treno ad Agrigento, sono giunti a Bologna. La scelta di questa città non è stata casuale, avevano appreso dalle lettere del vicino che Bologna era una bella e ricca città, con molte offerte di lavoro.
Quindi hanno affittato un minuscolo alloggio in un vecchio stabile decrepito del centro storico della città ed hanno iniziato a cercare lavoro. Daour lo ha trovato in un’azienda di ristrutturazioni edili, Ndayè ha trovato da fare la badante.
Trascorsi tre mesi dal loro arrivo in Italia i due ragazzi hanno iniziato a preoccuparsi del loro permesso di soggiorno; hanno presentato la richiesta assieme alle dichiarazioni dei loro datori di lavoro, ma è stato detto loro che per quell’anno, era il mese di novembre, non avrebbero potuto ottenere alcun permesso, nonostante avessero delle occupazioni stabili. Gli impiegati dell’Ufficio      immigrazione della Questura di Bologna hanno suggerito loro di ripresentare la domanda l’anno successivo. I due ragazzi sono rimasti colpiti dal fatto che, pur avendo un’occupazione regolare, lo Stato negasse loro il permesso di soggiornare nel luogo in cui prestavano la loro opera. Ndayè e Daour non conoscevano la norma della legislazione italiana che prevede un tetto annuale al numero di immigrati che possono ottenere il regolare permesso di soggiorno e quindi uscire dallo stato di clandestinità. La legge italiana e coloro che governano attualmente questo Paese sembrano non aver capito che un immigrato, dopo essere giunto in Italia con tanti sacrifici e sofferenze, dopo aver  trovato un’occupazione, cercherà di restare sia nel caso in cui il permesso gli venga concesso sia che gli venga negato per motivi burocratici.
Sarebbe molto più ragionevole riconoscere il suo stato, regolarizzarlo, permettergli di pagare le tasse e di avere un’assicurazione sul lavoro.
Nell’aprile dell’anno successivo Ndayè e Daour hanno finalmente ottenuto il loro permesso di soggiorno, ma fino a quel momento, avevano vissuto da irregolari e lavorato in nero.
Ogni due anni Ndayè e Daour hanno dovuto rinnovare il permesso di soggiorno e l’hanno sempre ottenuto senza problemi perché sono due persone oneste e capaci. Ma nonostante ciò, pur essendo trascorsi otto anni dal loro arrivo in Italia, non hanno ancora ottenuto la cittadinanza italiana e temono di non ottenerla mai.
Tanti sono stati gli ostacoli incontrati e superati dai due ragazzi, qualche volta hanno perso i loro rispettivi posti di lavoro o si sono trovati in difficoltà economiche, ma hanno sempre avuto la forza di risollevarsi.
Un anno fa hanno avuto un figlio, al quale ovviamente è stata data la cittadinanza italiana di diritto.
Ndayè e Daour sperano un giorno di poter tornare in Senegal, anche per far visitare la loro terra natale al piccolo Matar.
In questi anni sono rimasti in contatto con le loro famiglie ed entrambi sono riusciti ad inviare un po’ di soldi ai loro fratelli.
Abbiamo sentito molte, troppe storie tristi di persone immigrate che sono state respinte, che sono state arrestate perché, magari per sopravvivere, hanno compiuto delle azioni illegali.
La storia di Ndayè e Daour è a lieto fine; certo, si aspettavano un’Italia migliore di quella che hanno trovato, con meno truffatori, meno corruzione, più altruista e generosa; tuttavia il nostro paese è riuscito ad offrire loro una vita sotto alcuni punti di vista migliore di quella che avrebbero vissuto nel loro Paese di origine.

Riccardo Novo
Classe III C
Liceo Scientifico Gobetti