Le autrici di Lingua Madre

LA NARRAZIONE FEMMINILE

Scritto da Segreteria il 20 Ottobre 2010

Pubblichiamo l’intervento di Aida Ribero in risposta all’articolo di Eugenio Scalfari, apparso su La Repubblica domenica 3 ottobre.
Invitiamo, inoltre, tutti/e a prendere parte alla discussione, a riflettere sul valore della “differenza”, dove il singolare sta a significare la differenza sessuale, il problema – come sostiene Luce Irigaray – che la nostra epoca deve pensare.

LA NARRAZIONE FEMMINILE

Mi riferisco all’articolo di Eugenio Scalfari di domenica 3 ottobre in cui l’autore ricostruisce la storia dell’amore in Occidente. La narrazione fatta da un uomo e quella fatta da una donna (in questo caso da me) non potrebbero essere più diverse, a conferma che non può esserci una visione oggettiva della storia, ma anche  a conferma di una lettura improntata, la prima, a un soggetto universale neutro e un’altra che tiene conto che i soggetti sono due.
Molte donne, dice Scalfari, sono indotte dall’educazione a fare propri i valori della competizione tipica dei maschi trasformandosi così in virago. Precisiamo: queste donne sono il frutto della politica dell’emancipazione femminile sostenuta a suo tempo dalla sinistra italiana e oggi dalla Comunità Europea, e dalle istituzioni dei Paesi che ne fanno parte,tramite la ben nota formula delle ‘pari opportunità’. Con essa l’uomo viene posto a parametro con cui le donne sono tenute a misurarsi. Contro questa politica è nato il femminismo degli anni Settanta che ha tenacemente lavorato sulla “differenza”, ossia sulla costituzione duale dell’umanità. E non è cosa da poco. Di questa  “rivoluzione” politica avremmo voluto che Scalfari, sempre così aggiornato, prendesse atto. E’ grazie a questo nuovo pensiero che è stata riattraversata criticamente la cultura Occidentale approdando a una nuova narrazione storica, quella femminile-femminista, appunto. Che cosa è emerso? Intanto che è proprio dalla civiltà greca che nascono alcuni concetti filosofici destinati a segnare per secoli la cultura occidentale e con essa i concetti dell’amore e la divisione tra pubblico e privato. La Polis creata nella Grecia antica aveva questo carattere: ad essa potevano fare parte solo gli uomini (intendendo i maschi) purché liberi da lavori di sussistenza, nati in patria e colti. Ne erano escluse le donne e gli schiavi, appartenenti  al mondo della necessità, dunque relegati nel privato. L’ amore, quello vero, stava nella via erotica al sapere  e poteva esistere solo tra maschi  e assurgeva a vera via di accesso al bello e al vero (A: Cavarero, 2007). Le donne procreavano solo figli destinati alla mortalità, gli uomini (leggi i filosofi) procreavano invece le idee, destinate all’immortalità.  Gli uomini erano i soli detentori del Logos, quindi preposti al potere politico e a rappresentare l’unico soggetto dell’umanità, un soggetto neutro e universale che comprendeva anche la donna ma solo in via subordinata. Questa ricostruzione, ormai ampiamente presente anche nelle sedi più tradizionali, come l’Università, si scontra invece con questa affermazione di Scalfari: “Le civiltà antiche – e qui mi limito a parlare di quelle mediterranee – non conoscevano il «privato».
  La famiglia, come istituzione (lo sottolineo) non nasce come risposta a un’istanza amorosa – come afferma Scalfari – bensì per garantire agli uomini l’accesso al corpo delle donne, per dare loro la possibilità di essere dichiarati padri dei figli partoriti dalla donna e, secondo Carole Pateman, (Il contratto sessuale, 1997) per trasmettere a questi ultimi, se maschi, le insegne del potere (sociale, economico, politico). Questo è stato vero per secoli. Pensiamo per un momento ai matrimoni dei regnanti, ma anche a quelli del popolo in cui la ferrea separazione del censo faceva sì che gli sposi appartenessero allo stesso ceto sociale (per incrementare il patrimonio della famiglia) e, in ogni caso, era la famiglia a scegliere la sposa o lo sposo. L’amore-passione – o amore libertino, o amore romantico, come lo chiama Scalfari – dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, era vissuto al di fuori del matrimonio ed era riservato ai maschi, che non venivano con ciò sanzionati dalle leggi o dalla società, mentre alle donne adultere venivano tolti i figli, e in Italia, sino a non molto tempo fa, vigeva il “delitto d’onore” e  attuata una dura sanzione sociale. E ancora. Scalfari afferma che il «privato» nasce con l’Illuminismo. Non è così: la separazione tra pubblico e privato è sempre esistita, almeno in Occidente. Semmai, il famoso “contratto sociale” sancisce l’esclusione delle donne imponendo loro un tacito “contratto sessuale” fondato su presunte leggi naturali. La donna diviene così «portatrice dei valori espulsi dalla sfera pubblica, come la cura, la solidarietà, la devozione, l’umanità, attraverso i quali acquisisce anche una sorta di potere […] dove l’amore diviene, per così dire, schermo della diseguaglianza»  (corsivo nel testo), (Pulcini, Il potere di unire, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 187).