Appuntamenti

La mia amica boliviana

Scritto da Segreteria il 24 Maggio 2010

Continuiamo a pubblicare i racconti delle ragazze e dei ragazzi del Liceo Gobetti che hanno partecipato insieme alle loro insegnanti Cristina Bracchi e Patrizia Moretti ai laboratori  di narrazione e scrittura organizzati dal Concorso Lingua Madre.

Ecco il nono racconto:

La mia amica boliviana
Di Chiara Longato
(Classe I E)

Un giorno, nella mia classe delle medie, arrivò una nuova ragazza straniera. La professoressa ci aveva spiegato il giorno prima che veniva dalla Bolivia e che aveva un passato difficile per via della situazione politica del suo Paese.
Si chiamava Marica. Aveva la pelle olivastra e quel viso tipico delle popolazioni sudamericane, lunghi capelli neri raccolti in due codini che la facevano sembrare una bambina e due occhioni scuri, perennemente intenti a contemplare il banco con aria triste e malinconica.  Quando la professoressa la presentò alla classe, non alzò neanche lo sguardo e continuò a tormentare la manica della sua maglia, come se volesse scaricare la tensione su di essa.
Nell’intervallo andammo tutti da Alice, che era diventata la sua vicina di banco, e le chiedemmo come le sembrava la nuova arrivata. Alice alzò le spalle e rispose che non avevano parlato in quelle due ore e che ci sarebbe  stato tanto tempo per farlo.
Ma il tempo passò in fretta e Marica era ancora lì, dopo tre mesi, con lo sguardo fisso sul banco o rivolto a guardare il giardino, oltre i vetri delle finestre. Non aveva ancora parlato con nessuno, se non per chiedere in prestito una gomma o una matita o per rispondere alle domande della professoressa. Per il resto niente. Non un saluto, non una parola, era sempre zitta. E noi, classe di indifferenti, non tentavamo neanche di starle vicini, di provare a parlare con lei.
Insomma per me la vita continuava normalmente, non era cambiato nulla. O almeno così credevo.
Tornando a casa da scuola, un pomeriggio, mentre attraversavo il parco, mi sembrò di sentire qualcuno piangere. Sono sempre stata sensibile a queste cose, così ho seguito i singhiozzi e ho visto una ragazza su una panchina, in lacrime. Mi sono avvicinata cautamente e ho cercato di guardarle il viso per vedere se la conoscevo. Non potete immaginare il mio stupore nel vedere che era Marica. Mi sedetti vicino a lei.
«Ciao Marica».
Lei alzò lo sguardo e, forse per la prima volta da quando la conoscevo, mi fissò, impaurita, infondendomi un certo disagio.
«Chiara… Che ci fai qui?», mi chiese con una voce tremante che risaltava ancora di più il suo accento spagnolo.
«Beh, potrei farti la stessa domanda», risposi io con un sorriso consolatorio. Lei allora singhiozzò più forte e mi raccontò tutta la sua storia.
La Bolivia era un Pese povero, devastato da continue rivolte e da continui colpi di stato. I genitori di Marica, preoccupati per le figlie, le avevano mandate in Italia lontano dai pericoli. Quando erano arrivate, sei mesi prima, avevano trovato riparo al Sermig, un centro di accoglienza dove era possibile avere vitto e alloggio per un certo periodo di tempo al solo costo di un euro al giorno. La sorella maggiore, Ilenia, intanto aveva trovato un lavoro e aveva guadagnato abbastanza soldi per affittare un alloggio nella periferia di Torino. Ora vivevano lì, ma spesso facevano fatica ad arrivare alla fine del mese. Senza contare che non conoscevano nessuno: sua sorella perché, lavorando tutto il giorno, non trovava il tempo per stringere amicizie e Marica per la troppa timidezza, per la paura di non essere accettata, di essere presa in giro, di essere considerata diversa, all’antica, fuori dal mondo. Mi raccontò che la Bolivia era un Paese stupendo, nonostante tutto, e che le mancava. Le mancavano le montagne, la gente allegra per le strade, i campanelli delle biciclette e anche quel profumo particolare dell’aria, indescrivibile, che in Italia non c’era. E poi gli amici, il fratellino neonato, i genitori… Era preoccupata per loro e si sentiva in colpa per non essere lì a sostenerli.
Cercai di consolarla come potevo e la accompagnai a casa. Lungo la strada parlammo di molte altre cose e quando la salutai davanti alla porta del suo condominio, capii di aver trovato una nuova amica.
Da quel giorno diventammo inseparabili. Marica non era affatto come me l’ero immaginata: era allegra e solare, ma era anche molto timida. Con il mio aiuto era diventata amica di tutti in classe, anche se non è mai riuscita ad affezionarsi a loro, ed era felice di non essere più presa in giro. Nei primi giorni della nostra amicizia mi diceva continuamente di essere preoccupata per il suo modo di vestire, un po’ fuori moda. In effetti era stramba con quel poncho che usava come giacca, ma non gliel’ho mai detto, anche perché secondo me stava benissimo vestita così, in quel modo particolare, perché era se stessa. Aveva sempre molte difficoltà a parlare con le persone che non conosceva e io tentavo di aiutarla come potevo, incoraggiandola silenziosamente. Mi fece conoscere anche sua sorella, una donna molto seria e pignola, ma con un cuore d’oro. Perciò, entro poco tempo e con molta fatica, Marica si era ambientata, anche se ogni tanto faceva ancora confusione con l’euro o nello scrivere alcune parole, ma queste sono cose di poco conto. Sembrava felice e insieme passavamo bellissime giornate a ridere e scherzare. Ma evidentemente a lei e a sua sorella mancava troppo la Bolivia. Forse là c’era qualcosa in più, quel qualcosa che in Italia mancava. Forse più semplicemente sentivano la mancanza dei famigliari. Non lo so, sinceramente. Non sono mai riuscita a sapere il preciso motivo della loro partenza, anche se posso immaginarlo. Ma insomma, Marica è partita. È tornata a casa, nella sua vera casa. L’ultima volta che l’ho vista mi ha abbracciato forte e mi ha dato una lettera, dicendomi di aprirla quella sera. Ecco cosa c’era scritto:
“Cara Chiara,
sei la mia amica più grande. Grazie per quello che hai fatto per me, non sarei mai riuscita a vivere bene in Italia senza il tuo aiuto. Ora parto, domani mattina, torno a casa da mamma e papà e da Oscar, il mio fratellino, che non ho mai visto. Mi mancano tanto. Mi mancherai tanto anche tu. Adios amiga!
Marica.”
Un po’ sorridevo mentre rileggevo quella lettera, ripensando a tutti i bei momenti passati assieme, alle nostre risate e a tutta la nostra amicizia. In quelle poche righe, scritte nel miglior italiano di Marica, aveva cercato di esprimere tutta la sua gratitudine e di salutarmi nel modo migliore. C’era riuscita. E, guardando il cielo stellato dalla mia finestra, le augurai tanta fortuna, perché nessuno se la meritava più di lei.

Chiara Longato
Classe I E
Liceo Scientifico Gobetti