Le autrici di Lingua Madre

In cerca di un palco...

Scritto da Segreteria il 17 Febbraio 2011

Per notizia Luisa Felletti
Vi proponiamo il testo teatrale Integrazione di Luisa Felletti – finalista della IV edizione del Concorso Lingua Madre – in cerca di un palco per essere rappresentato.
Cinque atti, tratti dal racconto omonimo della raccolta Pollo alla Danese e altre visioni (ed. De Ferrari), rielaborati in forma di monologo per restituire, attraverso un’unica voce, l’esperienza e il cammino lento e doloroso compiuto da molte donne alla ricerca di un equilibrio, di un reale riconoscimento, di una riconciliazione tra mondi e culture lontane.

INTEGRAZIONE

di Luisa Felletti tratto dal racconto omonimo pubblicato in “Pollo alla danese e altre visioni” De Ferrari Editore – Genova ottobre 2010

in scena: una sedia rigida, tra quella del bus e quella delle sale d’aspetto ospedaliere. Si trasformerà in una branda
note di luce: in A) luce neon. piatta, da ospedale/bus
in B) morbida su di lei, sfuma intorno, la sedia è al buio
in C) come in A)
in D) segui persona (?)
in E) la sedia si illumina gradualmente
la luce si abbassa fino a spegnersi
legenda: (*) sottolinea le parole con un gesto
note di regia: Lei alternerà un tono monocorde (da seduta) ad altri (in piedi); quando evoca il villaggio e la nonna è nostalgico; sulle ultime battute è infantile e termina assonnato.
In piedi si muoverà liberamente
Seduta sarà rigida, a volte dondolerà in modo autistico.

A

Seduta le mani in grembo

Quella donna ride con la sua amica, nascondendo la bocca con la mano. L’altra tiene l’orecchio vicino a lei, per sentire cosa bisbiglia. Ma io sento lo stesso, non ho bisogno di ascoltare parole… molte non le capisco…
sento nella mia testa quello che si dicono, so perché ridono.
Tengo i piedi il più possibile sotto il sedile. *
Il bus si ferma e loro mi passano davanti per scendere e quella che si copriva la bocca, mi scontra con la borsa, si gira e mi chiede “scusa”. Mi sorride. L’ha fatto apposta; il sorriso era il fantasma della risata, una provocazione per continuare a divertirsi alle mie spalle con la sua amica grassa.
Tanti qui sono grassi.
Le seguo in strada con lo sguardo.
Camminano strano, facendo continuamente dei piccoli gesti: aggiustano la tracolla della borsa, scostano i capelli, riprendono la borsa per frugarci dentro, fumano, parlano nel cellulare.
Tanti qui fanno così… non sanno dove mettere le mani.
Prima che il bus riparte vedo la grassa guardare verso di me, ma è un attimo, poi il pilastro le nasconde. *
Ma quell’ attimo a me è bastato per capire: ridevano dei miei piedi. *
Tanto io, per capire, non ho bisogno di ascoltare, di guardare fisso.
Tanti qui fanno così; ti scrutano come se dovessero ricordarti a memoria.
No, a me non serve, io sento nella mia testa quello che dicono e cosa pensano.
Cioè non le frasi dei pensieri, non sarebbe possibile, quello lo possono fare i telepati e gli stregoni, ma l’intenzione sì. Sento se è buona o se è falsa.
Io lo so, non mi sbaglio, e tanti qui fanno così; sorridono facendo vedere i denti, ma dietro… ti fregano. *
Quest’uomo qui, perché sta in piedi proprio davanti a me? Puzza di fumo, e il suo fiato mi arriva in faccia. *
L’odore è forte, chissà quante sigarette fuma per esserne così impregnato! Lui non si annusa, non si sente, altrimenti laverebbe i suoi abiti con sapone profumato di limone, strofinerebbe la sua pelle e i suoi capelli con acqua del mare e masticherebbe alo. *

B

Si alza e va al centro del palco

Se l’autobus non fosse così affollato, mi alzerei per non sentire più questa puzza di portacenere!
Tanti qui sono così; col naso tappato.
Quelle narici piccole…
forse aveva ragione mia nonna, al villaggio, quando diceva che i bianchi non hanno olfatto per via dei nasi stretti. Non ci ho mai creduto, né ci credo; la nonna è una donna del villaggio, ha dei pregiudizi, io ho studiato…
perché volevo une bonne chance!
Intanto lui mi fissa i piedi, come le due donne di prima. Anche lui crede che non me ne accorga perché tengo la testa girata, ma io non ho bisogno di ascoltare, guardare, io sento nella mia testa quello che pensano le persone, l’intenzione.
Come quella vecchia dove sono andata a lavorare. Ho subito capito che mi odiava.
Così piccola e minuta, i capelli bianchi come quelli di mia nonna, però lisci.
Mi ha sorriso e mi ha fatto impressione vedere tanti denti perfetti in una bocca tanto vecchia.
Al villaggio i vecchi hanno pelle vecchia, denti vecchi, occhi vecchi.
Per questo li amiamo.
I figli della vecchia erano un po’ vecchi anche loro ma non troppo, per come sono abituati qui. Sessanta anni, al villaggio, sei vecchio; qui è diverso. Qui prendono medicine, mangiano bene, le donne non portano pesi.
Sono giovani, quando al villaggio siamo decrepiti.
Allora, perché non si occupano dei loro vecchi? Dei loro padri e madri?
Dobbiamo lavorare…Verremo a turno, di sabato e domenica… non preoccuparti avrai un giorno e mezzo libero alla settimana…*
Ma non era che il giorno libero, e mezzo, mi interessava tanto,visto che non conoscevo né la città né nessuno. E non ero preoccupata, solo volevo sapere, se avevo bisogno di qualcosa per la vecchia mamma, cosa dovevo fare.
Non capivo come loro non fossero preoccupati, a lasciare una vecchina, così traballante di gambe e di testa, da sola con un’estranea.
Non mi avevano mai vista prima, l’agenzia mi aveva mandata. Loro hanno parlato per l’orario, mi hanno fatto vedere le medicine, i detersivi, il televisore.
Poi hanno detto che per i soldi faceva tutto l’agenzia, che sarebbe stato tutto in regola. Hanno salutato la loro madre: «Mi raccomando, comportati bene. Vedi com’è carina. Come hai detto che ti chiami? …Be’, magari possiamo usare un nome italiano, il tuo è troppo difficile per la mamma. Ecco, Ada per esempio. La sua gatta si chiamava Ada, e c’era tanto affezionata».
«Bahderinwa! Mi chiamo Bahderinwa».
«Ecco le chiavi. Per qualsiasi cosa hai i nostri cellulari, ci vediamo sabato mattina».
E sono andati via.
Erano in due, e una mancava perché lavorava. Quanto lavoro c’è qui! tanto che la gente per farlo tutto, non può andare a conoscere chi è venuto a vivere nella sua casa. Potrebbe essere un pazzo che avvelenerà la loro madre, un ladro che ruberà
tutto… non importa, fa tutto l’agenzia!
Tanti qui sono così.
Lavorano molto e vorrebbero lavorare meno, però il lavoro per altri non c’è! Per noi, solo pulire, badare ai vecchi, ai bambini, lavare i piatti nei ristoranti.
Tutti lavori per il loro tempo di vacanza. Non lo capisco. Lavorare tanto per andare in vacanza.
Al villaggio non c’è quel “tempo libero”, c’è un tempo diverso che non è mai tutto libero o tutto occupato.
Il tempo libero qui è una proprietà privata, nessuno può entrare se non è invitato.
Né vecchi, né figli: Andate via! Tutti devono stare fuori dal T.L. – Tempo Libero.
Al villaggio il tempo è quello della gente, si fanno delle cose così…normali. Insieme con le zie, le sorelle, i bambini, i vecchi, mentre si lavora il campo e si cucina o si riposa.
Gli uomini no; ma questo è un altro discorso. Gli uomini hanno un tempo da uomini.

C

Si siede

Finalmente quest’uomo si è spostato, posso respirare meglio.
Adesso che il suo alito è lontano, giro la faccia dritta e guardo davanti a me. *
Guardo oltre il finestrino che ho di fronte, la strada che scorre. So che lui continua ad osservarmi i piedi, vorrei nasconderli, ma non so con che cosa, non ho sciarpe, né sacchetti da appoggiarci sopra.
I miei piedi sono neri e il bianco del calcagno e della pelle fra le dita sembra sabbia; sono grandi. La gente li osserva.
Mi dà fastidio che tutti mi guardino i piedi, come se non fossero attaccati a me, come se fossero parte dei sandali che indosso. È da maleducati. Metterò solo scarpe chiuse d’ora in poi.
Sono contenta di scendere alla prossima fermata perché, ora che il bus si è svuotato, i pochi passeggeri rimasti mi fissano i piedi. Lo fanno, cercando di non farsene accorgere;
ma io sento nella mia testa, non ho bisogno di ascoltare parole…

So che quando sarò scesa rideranno.

D

si alza

Spero solo che nessuno scenda con me, altrimenti dovrò fare il giro dell’isolato per non far vedere dove abito.
Invece scendono due persone.
Una signora giovane-vecchia attraversa la strada come se fosse sua, convinta che tutte le auto si fermeranno per farla passare, e invece alcune la schivano e suonano il clacson.

Ma l’uomo… è quello che puzzava di sigaretta!
Si è fermato per accenderne una, se sto ferma penserà che voglio parlare con lui…

Tanti qui sono così; vedono una giovane nera e credono che sia prostituta.

Meglio andare, fare il giro dell’isolato cercando di seminarlo… è già quasi buio, i negozi stanno per chiudere… nella testa sento i suoi passi dietro/dentro di me, ma abbastanza distanti… sono stata veloce come un serpente a svoltare a destra, l’ho sorpreso… adesso mi infilo nel bar all’angolo che ha due uscite, poi torno indietro alla fermata e attraverso la strada di corsa, come ha fatto prima quella donna. Poi appena arrivo a casa, chiudo la porta della mia stanza a chiave… e le persiane! così i vicini smettono di spiarmi.
Anche loro, come la vecchietta dove lavoravo: tanti denti, sempre a farli vedere, e poi a spiarmi.
La vecchietta dopo un po’ di giorni mi ha detto che in casa sua non voleva nessuno, …chi mi credevo di essere, ero arrivata in Italia per comandare…? L’ho detto ai suoi figli, mi hanno raccomandato di avere pazienza, che lei era un po’ “fuori di testa”. Ma come facevo davanti al suo bastone? Ho detto che me ne andavo.
Si sono arrabbiati e non mi hanno dato tutti i soldi. Vai all’agenzia, ci pensano loro.
L’agenzia mi ha mandato dal sindacato. E il sindacato dall’avvocato.
Però sorridevano tutti. Come i vicini.
Allora ho messo un’inserzione sul giornale per trovare un altro lavoro: “Giovane africana offresi per qualsiasi lavoro” poche parole per non spendere. E il numero del cellulare, non ho telefono nella casa.
Tanti credevano che ero una puttana e al telefono mi chiedevano “Proprio qualsiasi?”
Io capivo ancora meno di adesso le parole, ma erano strane le risate e quando domandavo “Dove?” quelli ribattevano “Quanto?”
La mia amica mi ha spiegato. Ho cambiato numero.
Ormai ho imparato e non do confiance a nessuno, nemmeno al ristorante dove lavo i piatti, nemmeno alle altre ragazze che abitano nella casa. Non parlo con nessuno, non rispondo alle domande che mi fanno tutti: sei sposata? Hai figli? Da dove vieni?

Vogliono sapere per fregarmi.

Le ragazze che abitano nella casa sono europee dell’Est e  latino-americane. Loro dicono che qui la gente chiede per essere gentile, ma io non mi fido di quello che mi raccontano, anche loro vogliono fregarmi.
Hanno preso i pomodori che avevo lasciato nel frigo. Li avevo messi nel frigo e non li ho più trovati, me li hanno rubati loro, anche se dicevano che era stato per errore.
Ma io sentivo nella mia testa che era stato per dispetto.
Adesso il cibo lo tengo in camera, ne compro poco ogni giorno, solo quello che mangio.
Il padrone di casa vuole più soldi; noi gli abbiamo detto che deve aggiustare il bagno, non funziona la doccia. Ha risposto, sorridendo, che per fare il lavoro spenderà molto, quindi prima dobbiamo pagargli l’aumento e poi verrà l’idraulico.
Nell’appartamento ci sono otto stanze, tutte con la porta su un corridoio lunghissimo, fatto a “L”, in fondo ci sono un bagno e la cucina.
«Fate i turni per la doccia, così non si rompe» – ci ha detto l’operaio.
Sorrideva.
Io faccio la doccia tutti i giorni, perché nella strada c’è molto traffico e mi sembra che tutta la polvere nera che si posa sulla finestra debba posarsi anche sopra di me.
Al villaggio ogni giorno ci si lava con un secchio d’acqua di mare e ci si strofina col limone, così si è puliti e non ci si ammala. Me lo ha insegnato la nonna.
Appena avrò i soldi per il biglietto tornerò a casa da lei, dalle zie e sorelle, dai nipotini.
Con loro non sento niente nella testa, non mi serve.
Si sta bene, al villaggio. Ma non basta per vivere.

E

si sposta verso la sedia

Ecco, non mi segue più; adesso l’ultima corsa per attraversare la strada e per oggi è finita.

(Armeggia intorno alla/sulla sedia)

Mi manca Riki. Lui ha risposto all’inserzione con un sms :
“Ciao, mi chiamo Riki. Ho letto la tua inserzione anke io ho trovato lavoro così… 45anni faccio palestra okki castani a mandorla 1,70 kg75 peso forma viso pulito no alcol e fumo. timido romantico educato solare. Interessato a dolce trasparente amicizia…Parlami di te … forse sei sola… Grazie”. La mia amica ha tradotto, era difficile, lui metteva “K” al posto di “c”. Non capivamo certe parole: solaretrasparente amicizia…?!
Però abbiamo immaginato che doveva essere bravo, perché ringraziava, straniero forse… per gli occhi a mandorla.
Dopo qualche messaggio ci siamo incontrati tutti e tre.
Riki è piccolo e rotondo, ha perso il peso forma… ma alla mia amica è piaciuto e così io e lui abbiamo una “trasparente amicizia” e loro due quella “dolce”.
Ora lui è tornato nelle Filippine. Mi manca, sono sola.

Nel frattempo la sedia è diventata una branda. Si sdraia adagio continuando a parlare.

Chiusa nella mia stanza mangerò i pomodori e guarderò le fotografie del villaggio, della famiglia.
Così, pian piano, la testa si svuota di tutta la giornata; appoggio la testa sul cuscino e ascolto il mio battito.
Mi ricorda quando la nonna mi cullava e avevo l’orecchio sul suo cuore. E riesco ad addormentarmi.