Le autrici di Lingua Madre

Giornata Mondiale dei Diritti Umani 2014 Un invito a riflettere insieme

Scritto da Segreteria il 10 Dicembre 2014

Oggi, 10 dicembre, è la Giornata Mondiale dei Diritti Umani. Vi invitiamo dunque a condividere con noi le vostre riflessioni sul tema, a partire da alcuni spunti forniti dai racconti del Concorso Lingua Madre.

Avrei voluto che quell’abbraccio fosse durato per sempre, ma il destino lo barattò con dei passi affrettati di donna e un fucile, imbracciato senza pietà.  Riconobbi subito quella divisa triste, la stessa che indossava mamma nella foto al servizio militare. «Facci passare, o risparmia loro la vita», supplicò papà, ammettendo che non avevamo il visto per lasciare l’Eritrea. «Allora morirai anche per loro», sentenziò la giovane soldatessa, spingendomi a terra. Lo prese per un braccio e si risparmiò il rimorso, senza sfuggire al dovere. Non potemmo salutarlo e mentre l’oscurità li inghiottiva, lui voltò la testa verso di te: «Ti chiamerai Sokaia – esclamò anelante – luce nella notte”». Mamma abbassò la testa e si rifiutò di vederlo sparire per sempre; posò lo sguardo sulla nostra Bibbia e fece finta di non sentire gli spari. Il suo cuore, però, la tradì ed io lo sentii sobbalzare insieme al mio, quattro volte di seguito.

II
Quella notte, fatta di vita e di morte, non ci lasciò mai più. Mamma conosceva bene la sorte di coloro che provavano a sfuggire alle leggi di Afewerki e tornavano indietro, ma vi era soltanto una strada da seguire, ed essa ci riportava nuovamente ad Asmara. Ricordo ancora il rumore dei suoi passi stanchi, come quelli di un condannato verso il patibolo; ti portava legata al petto e mi teneva la mano come fosse un tesoro, ma nel suo viso non vi era altro che abnegazione. Parlava a stento a causa della debolezza fisica, ma nel suo silenzio ho appreso le parole più belle che conosco, e quando un uomo per strada ci negò un po’ d’acqua a causa della nostra religione e lei pregò per lui, io ho compreso l’immensità della sua fede. «L’Amore non muore mai – mi disse quando entrammo in città. – Io vivrò per sempre in voi –, continuò. E ti mise fra le mie braccia, poco più grandi delle tue. Piangeva. Si allontanò di fretta, indicandomi la porta della piccola chiesa Pentecostale. Bussai, e un istante dopo mi ritrovai con quasi dieci anni in più, e il ricordo di mamma che veniva portata via con la forza, dentro una macchina dell’esercito. Per molti giorni pregammo per il suo ritorno, ma a ogni tuo pianto in cerca del suo latte, mi domandavo dell’esistenza di Dio. Non la vedemmo mai più…
Karla Pegorer Dias [Brasile]
Ninnananna per Sokaia
in Lingua Madre Duemilaquattordici  (Ed. Seb27)

Ci imbarchiamo su una piccola nave bianca. La nave scivola, davanti a me. Ines ride con le amiche e si mangia il suo panino preferito al prosciutto cotto. Ha una giacchetta verde e la coda di cavallo, è bellissima.
Stiamo ammirando le coste, ripassando storia e geografia e sfoggiando i migliori sorrisi quando a un certo punto scorgiamo un gommone, tanto pieno di gente da sembrare un gigantesco cavolfiore scuro. Mentre lo stiamo guardando, realizziamo che la nave è piena di clandestini e che è storta, pende da una parte, sta per rovesciarsi. Sulla nostra nave, panico totale: c’è chi chiama la polizia, chi scatta le foto, chi chiude gli occhi ai bambini.
E mentre il gommone si avvicina ed è sempre più inclinato, succede quello che non avremmo mai voluto vedere: si rovescia là, quasi davanti ai nostri occhi e, come chicchi d’uva, le persone cadono in acqua aggrappati l’uno all’altro, forse madri e figli, forse fratelli o forse maestre e alunni. (…) Vedo da lontano alcuni genitori che rientrano sulla nostra nave, ma gli altri no, non possono salire perché sono clandestini e in quel momento mi torna in mente che la maestra, dopo il grande naufragio a Lampedusa con più di trecento morti, ha spiegato ai bambini in classe che queste persone non potevano essere salvate perché se un italiano salva un emigrato, deve pagare una multa di centomila euro. E, mentre aggrappata alla scialuppa con le mani che qualcuno da dentro cerca di togliere perché siamo in troppi e rischiamo di romperla, vedo che sono rimasta solo io dalla parte degli emigrati e che la nave con Ines e gli altri genitori pian piano si allontana. Soprattutto mi balena in mente una cosa: anch’io sono un’emigrata e chi mi salva più?! (…) Mi avvicino alla nave e vedo che tutti gli altri sono già lì, alcuni genitori sono bagnati, altri ancora vestiti da festa, in mezzo c’è la maestra chinata verso Ines che le sta spiegando qualcosa all’orecchio, ma mia figlia, come ipnotizzata, mi guarda mentre nuoto. (…) Attorno a lei c’è sempre più gente. Adesso ci sono tutti: le amiche, i genitori e la maestra che ha impugnato un foglio di carta e sta cercando di spiegare qualcosa a tutti, si china anche verso Ines. Ogni tanto si gira verso di me e si sbraccia, mi spiega, urla, ma io non capisco quasi nulla, solo qualche parola. Cerco di capire quello che dice anche se sto perdendo le forze e ogni tanto anche la coscienza. «Non possiamo salvarla… centomila euro… siamo impotenti!». Questo lo sento sempre più chiaramente perché lei continua a urlarlo e a sbandierare il foglio. Io non ci credo, vorrei dire: “Ma io non sono più un’emigrata, ho la cittadinanza italiana! E poi, e poi, che differenza fa, farò una colletta in giro per il mondo per ridarvi i centomila euro, ma adesso salvatemi, fatemi abbracciare Ines impietrita, perché sento che ha più freddo di me”.
Jelena Zivkovic [Serbia]
Il Sogno
in Lingua Madre Duemilaquattordici  (Ed. Seb27)