Le autrici di Lingua Madre

A proposito di violenza...

Scritto da Segreteria il 12 Marzo 2012

Pubblichiamo la lettera inviata il 5 marzo al Direttore di La Stampa in merito ai più recenti casi di femminicidio.
Siete tutti/e invitati/e a partecipare al dibattito! Aspettiamo le vostre riflessioni…

Gentile Direttore,
Dopo l’ennesima uccisione di una donna e di tutta la sua famiglia da parte di un uomo (il marito) e dopo l’ennesimo articolo dedicato al fatto, mi pare siano altri i commenti necessari. Lo dico da giornalista, quale sono, ma soprattutto da donna. Sono stata tra le fondatrici del Coordinamento contro la violenza alle donne e del Telefono Rosa di Torino, sono ideatrice del Concorso Lingua Madre (dove ogni anno arrivano i racconti di centinaia di donne straniere e italiane), sottolineo queste “appartenenze” non per puntarmi medaglie sul petto, ma semplicemente per chiarire che affronto questo tema a ragion veduta. Potrei portare ad esempio centinaia di casi e di storie drammatiche, ma è giunto il tempo di smettere di guardare il fenomeno dalla parte delle vittime. I fari vanno puntati altrove: sui maschi. Cosa spinge gli uomini a uccidere mogli, fidanzate, compagne?
Non a caso con il termine femminicidio la teorica, antropologa e deputata messicana Marcela Lagarde ha definito l’atto di assassinare una donna “solo per il fatto della sua appartenenza al sesso femminile”.
Il concetto di femminicidio non è ancora stato raccolto da nessuna legislazione, ma si impiega negli ambiti accademici e del movimento femminile, perché travalica il concetto di aggressione individuale e sottolinea come le violenze contro le donne possiedano una connotazione sessuale intenzionale (e non casuale) di cui la struttura statale e giudiziaria non tiene conto.
Ricordo che l’aggressività maschile è stata riconosciuta dall’Onu come la prima causa di morte e di invalidità permanente per le donne in tutto il mondo.
Il numero delle donne vittime di violenze supera ogni quattro anni quello delle vittime dell’olocausto.
Del resto, i mariti italiani fino al 1981 disponevano del “delitto d’onore” per mitigare le condanne per le proprie efferatezze ai danni delle mogli e delle figlie. Se le lotte dei movimenti femminili hanno portato a tradurre in leggi i diritti delle donne, non hanno però sconfitto una società patriarcale che travalica i confini nazionali e che continua a forgiare i caratteri e i pensieri dei maschi.
La recrudescenza della violenza colpisce le donne che hanno coscienza della loro diversità rispetto al maschio (differenza), che vogliono affermare la propria autenticità, che hanno una nuova immagine di sé (autostima), che parlano (anziché “essere parlate”) a partire dalla propria soggettività, che hanno coscienza di possedere dei desideri e intendono farli vivere.
L’uomo, infatti, è spesso incapace di accettare la libertà, ossia la soggettività, della donna e spesso reagisce usando la violenza di fronte a qualcosa che gli è sconosciuto e incomprensibile. Ma non solo. Mi chiedo perché la psicanalisi non abbia ancora affrontato questo tema in modo “differente”. Nella pur equilibrata intervista a Vittorino Andreoli, pubblicata oggi da La Stampa, lo psichiatra fa riferimento a “l’eroe greco che non si rassegna mai”. Non credo sia questo. Seguendo il filo teorico di Luce Irigaray e Carla Lonzi, da tempo le donne ribadiscono la necessità di smascherare la falsa universalità della cultura maschile. La differenza sessuale è un movimento dinamico, frutto dello scambio tra donne e uomini e, del resto, sono ormai tanti i gruppi di uomini che si interrogano su questi fenomeni (da “Uomini in cammino” a “Il cerchio degli uomini” e tanti altri). Perché non intervistare qualcuno di loro a proposito? Perché lei, gentile direttore, e tutti i suoi colleghi maschi non cercate di capire? Perché non siete mossi, in questo caso, dalla ben nota “curiosità” giornalistica?
Non credo che la forza scatenante della violenza maschile sia la gelosia (“si pensava che la razionalità permettesse di dominare questo sentimento, invece non è così”, afferma Andreoli), o meglio: c’è qualcos’altro all’origine. Perché la psichiatria scava a fondo nel rapporto con la madre per individuare le psicosi e in questo caso se ne dimentica? Vi lascio con un’intuizione di Aida Ribero – saggista e studiosa del pensiero femminile – emersa nel corso dell’ultima riunione del Gruppo di Studio del Concorso Lingua Madre:
“I maschi riproducono nei confronti della moglie/compagna il rapporto con la madre. Per questo reagiscono con tanta violenza all’abbandono, perché l’unico abbandono che non si può perdonare è quello della madre”.

Meditate uomini, meditate.

Daniela Finocchi
Ideatrice Concorso letterario nazionale Lingua Madre