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In prima linea La mostra di GI.U.LI.A. a Palazzo Madama

Scritto da Segreteria il 06 Ottobre 2016

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Una donna soldato si abbandona nell’abbraccio con il suo cane, un’altra si erge dal folto della foresta quasi fosse una delle rigogliose specie che la circondano. È il velo viola di una donna a farla emergere dal buio di una stanza e di una vita, ed è lo sguardo senza speranza di un bimbo a rendere il mitra – fatto di canne – che ha in mano più vero del vero. La bellezza è inquietante quando è colta in mezzo alla disperazione.
Questo e molto altro nella mostra promossa da Gi.U.Li.A (GIornaliste Unite LIbere Autonome ) – partner consolidata del Concorso Lingua Madre – In prima linea. Donne fotoreporter in luoghi di guerra presentata oggi in conferenza stampa: 70 immagini scattate da 14 giovani fotoreporter di diverse nazionalità, che lavorano per le maggiori testate internazionali. In esposizione dal 7 ottobre e fino 13 novembre 2016 a Palazzo Madama di Torino, la mostra sarà inaugurata stasera, alle 18.00, mentre da domani, venerdì 7 ottobre, sarà aperta al pubblico. Sempre domani, alle ore 21.00 presso il Circolo della Stampa di Torino, avrà luogo l’incontro Donne fotoreporter in luoghi di guerra si raccontano, cui interverranno 8 delle 14 fotoreporter autrici delle immagini.

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Sono Linda Dorigo, Virginie Nguyen Hoang, Jodi Hilton, Andreja Restek, Annabell Van den Berghe, Laurence Geai, Capucine Granier-Deferre, Diana Zeyneb Alhindawi, Matilde Gattoni, Shelly Kittleson, Maysun, Alison Baskerville, Monique Jaques, Camille Lepage, che sui campi di battaglia, in cui si trovava per documentare e denunciare, ha lasciato la vita.
Nella mostra, ciascuna presenta 5 foto emblematiche del proprio lavoro e della propria capacità non solo di catturare azioni ed emozioni, ma anche di denunciare le violenze perpetrate sui popoli e sulle persone più deboli e indifese. Le fotoreporter attraversano i luoghi di guerra con uno sguardo differente e proprio sulla “differenza” hanno insistito relatrici e relatori della conferenza stampa di presentazione: Patrizia Asproni, presidente della Fondazione Torino Musei, Antonella Parigi, Assessora alla Cultura e Turismo della Regione Piemonte, Guido Curto, Direttore del Museo Palazzo Madama, insieme all’ideatrice Andreja Restek e alle curatrici Stefanella Campana e Maria Paola Ruffino.
Non a caso la mostra è nata grazie alla volontà dell’Associazione Gi.U.Li.A, da sempre impegnata a diffondere il sapere e la specificità delle donne e a imprimere una svolta culturale nell’ambito dell’informazione e, più in generale, nella società. Ha il sostegno dell’Assessorato alla Cultura della Regione Piemonte e vede sponsor: Banca del Piemonte, sponsor tecnici Quattrobi e Sonos, media partner La Stampa. È promossa congiuntamente dall’Associazione Gi.U.Li.A – Giornaliste Unite Libere Autonome e da ADCF Onlus, l’Ambulanza dal Cuore Forte, con il patrocinio di: Assessorato alla Cultura della Città di Torino, Ordine Giornalisti del Piemonte, FNSI – Federazione Nazionale della Stampa Italiana, FIAF – Federazione Italiana Associazioni Fotografiche, Associazione Stampa Subalpina.
Le 70 fotografie sono esteticamente bellissime, pur nella durezza dei loro contenuti. Foto a colori e in bianco e nero, il più delle volte scattate con macchine digitali; ma c’è anche chi ancora usa la pellicola, senza quasi mai trattare o elaborare con programmi computerizzati l’immagine, usando il computer e internet solo per spedire il più velocemente possibile ai quotidiani e agli organi di stampa quegli “articoli” scritti con la fotocamera, senza bisogno di aggiungere parole superflue, se non una sintetica didascalia che precisa il dove e il quando.
È come un pugno allo stomaco l’immagine della donna in un singolare burqa integrale che testimonia a un processo per stupro in Congo, così come lo sono gli altri scatti catturati dalle fotoreporter, eppure proprio da tanto dolore emerge lo sguardo differente non solo di chi scatta l’immagine ma anche di chi ne è protagonista, uno sguardo su cui si innescano quelle “strategie di libertà” di cui scrive Cristina Borderias che possono portare a un cambiamento. Alle donne è affidata questa speranza, perché non saranno certo le guerre dei maschi a portare un cambiamento.

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