Le autrici di Lingua Madre

La 101a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato Il racconto di Selma Ucar

Scritto da Segreteria il 18 Gennaio 2015

Vogliamo ricordare la 101a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che ricorre proprio oggi, domenica 18 gennaio 2015, con il racconto di Selma Ucar, dal titolo Il rumore del futuro, e con alcune immagini inviate dalla Scuola di lingua italiana per donne straniere del Centro sociale Città di Suzzara, selezionate per il Premio Fondazione Sandretto Re Rebaudengo del Concorso Lingua Madre 2014.

La mia identità, la vita era riassunta in quelle due parole: Selma Ucar. Non un luogo o patria o data di nascita vi era. Ero sola. C’era solo e soltanto Selma; non le montagne di Golyazi o la nipote di nonna Fatima o la bambina che abita nella casa di terracotta. Nulla, nulla di tutto ciò su poter appoggiare le spalle, per far riposare la stanchezza. Il corpo piccolo coperto dal nome, con una responsabilità enorme da portare con sé.
(…) Durante l’intervallo, tutti i bambini si radunarono intorno al nostro banco, parlandomi. Uno per uno si presentarono: chi timidamente, chi vivacemente ma con nomi e caratteri differenti. Le immagini divennero l’interlocutore delle due lingue. Tramite disegni, in qualche modo ci capivamo. Alice, quel giorno, m’insegnò tante altre nuove parole. Iniziava la frase con “si chiama…”, per insegnarmi l’italiano. Si chiama cane, si chiama gatto, si chiama montagna. Golyazi, la parola uscì istintivamente dalla mia bocca. Lei mi correggeva mostrandomi più volte la foto della montagna.
«Golyazi chiama….si chiama Golyazi», le urlai contro. Anche se non erano le verdeggianti pianure del mio Golyazi, per me rappresentavano lo stesso la mia città natale.
Non riuscii a trattenere le lacrime; piansi. Il dolore misto alla nostalgia, scendeva lungo le guance, e dall’imbarazzo coprii il viso con le mani. Anche questa volta le mani mi aiutarono molto.
Avrei tanto voluto chiedere: come si chiama la sofferenza che avvolge il cuore mio? Come si chiamano queste lacrime che colmano gli occhi? Come si chiama il fuoco che brucia forte qui a sinistra? Come si chiama?
Non m’importava assolutamente come si chiamasse la sedia; ci si siede e basta. O come avrei dovuto chiamare la finestra; ci si guarda basta. Era irrilevante. Chi mi avrebbe detto come chiamare gli strani sentimenti che combattevano in me? Nessuno. Perché nessuno sapeva che era la nostalgia. Si chiama mancanza… Il vuoto. Il vuoto lasciato da Golyazi.
Ricordo che piansi per un bel po’. L’insegnante mi asciugò il viso, accompagnandomi in bagno. E lì, fuori dalla finestra, vidi la mamma seduta sull’erba ad aspettarmi. Mi toccò profondamente vederla lì, sola ad attendermi. Compresi che eravamo sole, io e lei in mezzo a un futuro ignoto.
Ritornata in classe, imparai il vero significato della parola “straniero”. Straniero, la persona che perde l’uso della lingua, divenendo muto, e l’udito immerso nel futuro incomprensibile, divenendo così sordo. Straniero, quando intorno a te è tutto immobile e senti d’esserti smarrito in un dove sconosciuto. Semplicemente, si è disorientati, in mezzo al nulla senza alcuna mappa o bussola su cui orientarsi.
Però svanì tutta questa sensazione pungente quando Alice mi abbracciò, regalandomi la fotografia delle montagne, strappando dal libro. «Si chiama Golyazi», disse sorridendomi. Da quel giorno diventammo migliore amiche.

Selma Ucar [Turchia], IL RUMORE DEL FUTURO, in Lingua Madre Duemilaquattordici. Racconti di donne straniere in Italia (Ed. SEB27)